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borgo marceddì

Marceddì... la Laguna... il borgo

Il borgo di Marceddì ha una storia molto antica che risale addirittura al VI Millennio A. C.
I popoli del Neolitico già allora si volevano aggiudicare l’importante "oro nero" ovvero l’ossidiana abbondante sul massiccio del monte Arci. Presso "sa Punta de Caserma", proprio al di sotto della Ex caserma della Guardia di Finanza, oggi ristrutturata, recenti scavi hanno rinvenuto tracce di un villaggio risalente al periodo neolitico e di un’officina ossidianica; questo fa pensare che fosse attivo proprio a Marceddì lo scambio di merci con tale pietra.

La laguna divenne approdo sicuro per i Fenici, marinai-mercanti di origine semitica, la cui presenza in Sardegna viene oggi messa in discussione da alcuni studiosi, almeno per quanto concerne il periodo alto della loro comparsa sull’isola (XIII- X sec. A.C.): alcuni studiosi mettono in discussione la teoria secondo la quale gli scali e le città portuali occidentali della Sardegna quali Tharros, Cornus, Nora, Sulci, sarebbero sorte per iniziativa dei Fenici ma sarebbero in realtà città sardo-nuragiche che commerciavano con i popoli fenici, con i quali avevano in comune la stessa lingua parlata, dal momento che la popolazione sarda era anch’essa di origine semitica.

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Neapolis

A conferma della grande capacità commerciale della valle di Marceddì è la città di Neapolis, fondata pare dai Cartaginesi nel periodo della loro conquista armata della Sardegna, e situata sulla riva opposta della laguna in direzione sud-est. Molti storici concordano sul fatto che la città di Neapolis, sebbene il nome sia di chiara matrice greca (ma su calco greco del nome fenicio QRTHDSHT, città nuova appunto), fosse punica.

Neapolis, famosa pure per le sue terme e per l’acquedotto che approvvigionava la città, è citata anche dalle fonti classiche: il primo a parlarne è Plinio il Vecchio nella sua opera "Naturalis Historia". La città è pure rappresentata nella più antica carta geografica della Sardegna relativa a Tolomeo, geografo greco del II sec. D.C.

L’epoca romana fu piuttosto prospera, evidenziata dalla presenza di diverse ville romane, ormai in totale stato di abbandono.
Da questo momento in poi si perdono le tracce archeologiche e la reperibilità di fonti storiche si fa difficile, forse anche per il crescente stato di incertezza che si venne a creare con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la successiva conquista dell’isola da parte dei Vandali.
Fatali furono pure le successive e frequenti incursioni piratesche e le scorrerie barbaresche che utilizzavano il canale naturale della valle per raggiungere il porto neapolitano e depredarlo. Si ricorda lo sbarco di pirati barbareschi nel 1527 capitanati da un certo Scacciadiavolo che rase al suolo Terralba e Arcidano. Poi il corsaro Dragutte nel 1563, a capo di una flotta sbarcò in varie parti dell’isola e nel porto di Marceddì dove però trovò la resistenza di una comitiva di 50 persone circa.

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La Torre di Marceddì

Per mettere un freno a tali incursioni, durante il periodo di dominazione spagnola il viceré Miguel de Moncada fece erigere la Torre di Marceddì, la Torre Nuova (di fronte alla Torre Vecchia, sulla riva opposta della laguna) e la Torre di Flumentorgiu (conosciuta oggi come Torre dei Corsari) e quella di S. Giovanni di Sinis (capo S. Marco).

Tali torri furono costruite appunto per avvistare in tempo i battelli nemici. Ma l’incubo delle incursioni dei pirati nordafricani non era finito nemmeno nel secolo XIX e a presidiare la zona furono posti dei soldati di stanza a Marceddì. 


Il massimo splendore, comunque, Marceddì lo conobbe a metà Ottocento quando il re Carlo Alberto costituì nel suo porto perfino una sede di dogana, tanto a quel tempo era importante l’attività di commercio; ciò viene anche evidenziato dal gonfalone della città di Terralba (di cui Marceddì è frazione) che riporta l’effigie di una nave affiancata all’antica torre.

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